Virgin of the Angels
Roberto Grieco e Studio: Annalise Calì, Serena Nardacci
Virgin of the Angels
da Adolphe –William Bouguereau (1825-1905)
mosaico in smalti filati su cassina di ottone
1 x 0,70 m.
collezione privata
Roberto Grieco
Roberto Grieco si è formato come mosaicista presso lo Studio Vaticano del Mosaico dove si è specializzato sia nel mosaico tagliato che in quello filato. Al titolo di Maestro mosaicista affianca quello di scenografo e di studioso dell’arte musiva, attività quest’ultima che ha coltivato come conoscitore e pubblicista. Tra i suoi lavori pubblicati si sottolinea per l’impostazione metodologica di carattere manualistico-divulgativa: Grieco R., Handbook of microMOSAICIST. Manuale del microMOSAICISTA. Manuel du microMOSAISTE, Gangemi Editore, Roma 2016.
Dopo una lunga esperienza in Vaticano Grieco ha scelto di operare in privato iniziando un percorso del tutto originale in cui ha fuso tradizione e innovazione. Nel suo studio, aperto anche alla didattica, ha ripreso la tecnica del micromosaico secondo le regole compositive storiche ma dando vita ad una produzione di stampo decisamente moderno. Per quanto riguarda la realizzazione di quadri da cavalletto e di piani musivi destinati all’arredo, si è espresso sia con la tecnica del tagliato che del filato. Nelle opere di grandi dimensioni ha fatto largo uso di una tecnica mista, affermatasi negli anni Cinquanta del Novecento, in cui la tessitura compositiva comprende aree con tessere millimetriche accostate ad aree con tessere di larga dimensione.
Il quadro che qui si presenta possiede queste caratteristiche.
Virgin of the Angels
da Adolphe –William Bouguereau (1825-1995)
Roberto Grieco e Studio: Annalise Calì, Serena Nardacci
mosaico in smalti filati su cassina di ottone
1 x 0,70 m.
collezione privata
Il dipinto originale di Adolphe –William Bouguereau si trova presso il Getty Museum di Los Angeles dove è pervenuto nel 2005 dal Lawn Museum di Glendale. Nell’attuale allestimento espositivo è mostrato insieme ad altre due versioni dello stesso soggetto- entrambe di mano di Bouguereau- provenienti da collezione privata: uno schizzo preparatorio ad olio ed una replica in metà formato. http://www.getty.edu/museum/conservation/partnerships/bouguereau/
Nella fase preparatoria del cartone il Maestro Roberto Grieco ha tenuto conto delle tre versioni esistenti con l’intento di ripercorrere il processo sperimentato da Bouguereau nell’ideazione del soggetto. La traduzione musiva risulta di elevatissima qualità sia sotto l’aspetto disegnativo-plastico sia dal punto di vista pittorico. Per rendere i sofisticati passaggi chiaroscurali, in alcune parti rievocanti lo sfumato leonardesco, Grieco ha fatto largo uso di madretinte ossia di quegli smalti ricchi di ossidi coloranti e quindi di timbro più saturo da cui normalmente si ricavano per fusione tutte le varietà di colore. I complessi passaggi chiaroscurali e la luce vivida che mette in risalto i bianchi del dipinto, costituiscono un punto di merito anche della composizione musiva. Per rendere la studiata tavolozza Grieco ha utilizzato i valori di superficie propri della tecnica musiva ricorrendo a tagli di formato differenziato. Da notare l’impiego di tessere quadrate nella resa del volto della Vergine e del Bambino, una norma compositiva che richiede molta maestria e che Grieco deriva da maestri mosaicisti attivi a Roma nel Seicento come Marcello Provenzale e Giovanni Battista Calandra. L’impiego di questo formato regolare costringe la luce a scivolare con maggiore dolcezza sui volti dei due personaggi sacri, con il risultato di creare un trapasso lieve di toni chiarissimi , come in un cammeo.
La mano dello Studio è presente nel paesaggio, in porzioni dei panneggi, nei volti di alcuni Angeli. Le parti eseguite dalle allieve sono state poi assemblate con i necessari collegamenti dallo stesso Grieco.
Micromosaico circolare con Medusa e combattimenti tra Centauri e Greci
Roberto, Massimo, Antonio Cassio
dal mosaico pavimentale del III secolo d. C. delle Terme di Otricoli, Città del Vaticano, Museo Pio Clementino, Sala Rotonda.
tessere lapidee e smalti filati su supporto in ottone diametro 120 cm
Roma, Studio Cassio 2018
Il piano musivo circolare dei mosaicisti Roberto, Massimo, Antonio Cassio è frutto di un impegno
quasi decennale. Le sue dimensioni sono quelle congeniali ad assolvere la funzione di piano di
tavolo ma risultano anche facilmente adattabili ad altre tipologie di decorazione d’interni.
Per la composizione sono state impiegate tessere lapidee e tessere in smalto filato. Queste ultime compongono le parti figurative costituite da personaggi umani e mitologici, soggetti fitomorfici, motivi geometrici. La natura delle categorie iconografiche realizzate ha richiesto un impegno tecnico particolarmente meticoloso finalizzato alla preparazione degli impasti necessari ad ottenere, attraverso la fusione, i toni utili a creare il chiaroscuro delle carnagioni e la molteplicità delle varianti tonali necessarie a dar corpo agli elementi vegetali. Da evidenziare anche il rigore compositivo che si nota nella fattura delle cornici percorse da greca e dallo scudo a squame che riempie l’ottagono centrale, su cui spicca la testa della gorgone Medusa.
Il mosaico antico da cui deriva il soggetto costituisce oggi il pavimento della Sala Rotonda del Museo Pio-Clementino in Vaticano. Rinvenuto nel 1780 nelle Terme della città romana di (moderna Otricoli, TR), fu collocato nell’attuale sede nel 1786, dopo essere stato restaurato ed integrato con parti di nuova fattura.
Il piano circolare dei mosaicisti Cassio ripropone la parte centrale del prototipo antico. Entro uno schema geometrico composto da un ottagono da cui si dipartono otto trapezi sono collocati, al centro, la testa della gorgone Medusa circondata da un campo a squame e, nei trapezi, otto scene di combattimento tra Centauri e Greci. Lo schema geometrico è disegnato da cornici percorse da greche. Completano la decorazione due cornici concentriche che attraversano i settori trapezoidali: la più interna con un motivo a zig-zag e la seconda costituita da un festone di frutti intervallato da maschere sceniche e piccoli vasi. Una cornice a greca cinge l’orlo del piano. Nel mosaico pavimentale della Sala Rotonda del Museo Pio Clementino, gli spazi trapezoidali comprendono anche otto scene raffiguranti Tritoni e Nereidi che solcano la superficie del mare.
Gli autori
Roberto, Massimo e Antonio Cassio appartengono a una dinastia di mosaicisti che ha caratterizzato con la sua presenza il panorama artistico del mosaico romano di buona parte del Novecento.
Un particolare riconoscimento si deve al Maestro Virgilio Cassio (1914-2001) che tra il 1962 e il 1990 rivestì l’incarico prima di direttore tecnico e poi di direttore artistico dello Studio del mosaico vaticano.
Durante la sua direzione Virgilio Cassio diversificò la produzione del laboratorio pontificio avviando una sperimentazione di avanguardia.
In particolare introdusse accanto alla traduzione musiva di opere pittoriche di grandi maestri, quella di soggetti contemporanei, in alcuni casi di sua invenzione, adottando una tecnica mista per quanto riguarda il formato delle tessere e gli effetti di superficie.
La fortuna del soggetto
Il primo a riprodurre in formato ridotto il mosaico delle Terme di Ocriculum fu il mosaicista Michelangelo Barberi (Roma 1787-1867) un artista di fama europea attivo nella prima metà dell’Ottocento. Della grande composizione musiva egli realizzò un bozzetto che pubblicò poi nel 1856, in un catalogo dedicato alle sue invenzioni. A questo bozzetto possono riferirsi un pavimento ed un tavolo oggi conservati al Museo dell’Ermitage a San Pietroburgo (Sala del Padiglione). Le due opere furono eseguite a Roma tra il 1847 e il 1851 da alcuni artisti russi, sotto la direzione dello stesso Barberi.
Bibliografia
M. Barberi, Alcuni musaici usciti dallo Studio del Cav. Michelangelo Barberi, Roma 1856.
B. Nogara, I mosaici antichi conservati nei Palazzi Pontifici del Vaticano e del Laterano, Milano 1910, pp. 21-25.
C. Pietrangeli, Otricoli. Un lembo dell’Umbria alle porte di Roma, Narni1978, pp. 64-68.
K. Werner, Die Sammlung antiker Mosaiken in den Vatikanischen Museen, Città del Vaticano, 1998 pp. 147-171.
Regina angelorum
Dall’originale di William – Adolphe Bouguerau (Parigi Petit Palais, 280 x 184)
Roberto Grieco e Studio (Annalise Calì, Serena Nardacci, Annamaria Datti), Roma
mosaico in smalto filato, 140 x 94 cm
Collezione privata
Il mosaico riproduce il celebre capolavoro del pittore francese W.A. Bouguerau (1825-1905) in dimensioni pari alla metà dell’originale. Si tratta di un’opera “prima”, nel senso che mai fino ad ora si era affrontata una traduzione musiva dI questo dipinto. Il soggetto è stato reso con sicuro equilibrio compositivo e raffinita sensibilità pittorica.
All’ apparizione frontale della Vergine con il Bambino si contrappone il coro angelico che forma una mandorla leggermente inclinata, con effetto di un maggiore accostamento al primo piano delgli Angeli disposti a sinistra che sono dodici, mentre a destra sono nove.
Dal punto di vista pittorico l’impegno maggiore è stato richiesto dalla resa della scala cromatica caratterizzata da un largo uso dei bianchi e delle tinte riservate alle carnagioni. La corrispondente tavolozza vetrosa è stata tutta realizzata da Grieco attraverso il procedimento della filatura dello smalto, una tecnica che consente di ottenere colori di una considerevole gradazione di toni, come accade nella tavolozza del pittore, ma con una operazione che richiede l’impiego della fiamma e dai risultati non sempre prevedibili.
Dal punto di vista esecutivo si è proceduto con la preparazione del cartone da cui sono state tratte poi sezioni da eseguire separatamente. Una volta ultimate, le singole parti sono state assemblate. A quest’ultimo laborioso e delicato intervento, che Grieco ha condotto con alta maestrìa, si deve il senso di unità e di armonia dell’insieme. Per la misura ridotta delle tessere impiegate i risultati ottenuti rasentano gli effetti del micromosaico. L’opera ha richiesto quattro anni di lavoro.
In questa nuova veste musiva, la Regina Angelorum di Bouguereau si colloca nel solco della tradizione che dal Rinascimento assegna al mosaico il valore di “pittura per l’eternità”. Con l’intento di salvaguardarne la vivezza delle tinte nel Settecento a Roma si compie la grande impresa di realizzare copie musive dei dipinti già esistenti sugli altari della basilica di San Pietro in Vaticano. Giorgio Vasari (1511-1574) scrive ne Le Vite (ediz. 1568) che il mosaico “è la più durabile pittura che sia. Imperò che l’altra col tempo si spegne e questa nello stare fatta di continuo si accende; et inoltre la pittura manca e si consuma per se medesima, ove il musaico per lunghissima vita si può quasi
Il mosaico minuto tra Roma Milano e l’Europa ac.
di Chiara Stefani, Il Formichiere, Foligno 2016Recensione di Giuliana Franzini Musiani, Honorary Curator for Decorative Arts TMAG ( Tasmanian Museum and Art Gallery) Hobart Tasmania Australia
Con il sostegno: FONDAZIONE NEGRO
progetto grafico
Giampiero Badiali
copertina
Anonimo della prima metà del XIX secolo, Dettaglio di
micromosaico su cassina di marmo rosso antico (collezione B.R.S.)
© 2016
Il Formichiere
Via Cupa, 31 – Foligno (pg)
info@ilformichiere.it – www.ilformichiere.it
Isbn: 978 88 98428 94 6
I lettori che desiderano informarsi sui libri e sulle attività dell’editore
possono consultare il sito www.ilformichiere.it
Contenuto del volume
Chiara Stefani, Il mosaico minuto tra Roma, Milano e l’Europa
Assunta Di Sante, Lo Studio del Mosaico Vaticano e il mosaico minuto: scelte culturali e organizzazione del lavoro nel periodo 1793-1819
Maria Grazia Branchetti, Il guéridon ad uso di déjeuner detto lo Scudo di Achille. Aggiornamenti documentari: 1813-1818
Marco Pupillo, La Testa di Vestale di Clemente Ciuli tra Roma e Parigi
Laura Biancini, «Il quadro partì da Milano il giorno 11 agosto, alle 4 antimeridiane…». Il trasporto del Cenacolo di Giacomo Raffaelli da Milano a Vienna
Il volume ospita gli Atti del convegno tenutosi presso la Fondazione Primoli a conclusione della mostra RICORDI IN MICROMOSAICO. Vedute e paesaggi per i viaggiatori del Grand Tour (Roma, Museo Praz 1 dicembre 2011- 9 aprile 2012) curata da C. Stefani.
Se ne presenta qui la recensione di Giuliana Franzini Musiani che è una esperta della materia. Per il catalogo dedicato alla Mostra RICORDI IN MICROMOSAICO, la Franzini Musiani ha curato un saggio dal titolo Mosaici e Mosaicisti romani in libri di viaggio e guide di autori inglesi della prima metà dell’Ottocento, con particolare riguardo a un episodio della vita di Michelangelo Barberi.
Per il TMGA ha studiato, in particolare, il piano di tavolo in micromosaico e commesso di marmi rari e antichi detto Scott’s Table, mettendo in luce attraverso fonti documentarie un inedito percorso della produzione del micromosaico romano dell’Ottocento. Il suo saggio pubblicato in KANUNNAH, volume 5 (2013), con il titolo A nineteenth century Roman mosaic tabletop with marble, pp. 1-20 , è disponibile on-line nel sito del TMGA.
Recensione
(si ringrazia l’autrice per aver accolto la richiesta di fornire il testo sia in lingua italiana che in lingua inglese)
Si tratta di una pubblicazione di notevole interesse perché alternativa alla superficialità, mascherata da intenti divulgativi, con cui troppo spesso le arti decorative sono trattate.
I quattro saggi raccolti nel volume sono tutti imperniati sull’attività dello Studio Vaticano del Mosaico e dei suoi artisti tra la fine del 1700 e il 1820, tra la dominazione francese e il ritorno del potere papale con tutti i problemi e le incertezze che il drammatico, ripetuto mutare delle condizioni politiche hanno determinati.
Gli scritti sono frutto di accurate ricerche d’archivio e presentano aspetti meno noti del mondo del micromosaico, in modo “filologico”, con ricchissime e dettagliatissime note a piè di pagina, ma senza inutili pedanterie, compiaciute pesantezze di stile o ostentazione di vacua erudizione. Di notevole importanza sono sia le ampie, frequenti citazioni, sia le appendici, in forma di allegati o di schemi, che consentono la diretta conoscenza di documenti e lettere di difficile accesso anche agli studiosi. Inconsuete e ben distribuite nel testo sono anche le illustrazioni, in particolare i piani di costruzione dello Studio Vaticano, gli acquarelli di Koeck, il mosaico di Clemente Ciuli e il ritratto di profilo di Giacomo Raffaelli, concepito quasi come una silhouette.
I testi sono preceduti da un’introduzione della curatrice Chiara Stefani, che sottolinea come la produzione dello Studio Vaticano non fosse limitata all’ambito romano o prettamente” turistico”, ma legata a importanti momenti della storia europea.
La studiosa Assunta di Sante illustra la storia artistica e economica dello Studio Vaticano, travagliato da problemi economici e organizzativi durante e dopo la duplice occupazione francese di Roma e l’opera di ripristino da parte del Governo pontificio dopo il 1814, che riusci` a mantenere, accanto alla produzione “in grande”, anche la redditizia produzione “profana” del “mosaico in piccolo”. Di grande interesse, come si è detto, sono le sostanziose appendici.
Maria Grazia Branchetti fa rivivere il retroscena della creazione del mosaico Lo scudo di Achille, concepito inizialmente come produzione sotto l’egida dell’impero francese, anche se sono incerti il committente e l’originale destinatario, e trasformatosi in dono papale al sovrano di Francia Carlo X. Gia` il Moroni aveva narrato dettagliatamente tutta la vicenda, e descritto minutamente anche i doni offerti al papa dal re di Francia per contraccambiare il prezioso omaggio. La studiosa ci fa conoscere i dettagli della preparazione dei soggetti di ispirazione omerica, ricreati in chiave neoclassica dal pittore austriaco Koeck, e,come esito delle sue attente e minuziose ricerche negli archivi vaticani, i nomi degli artisti impegnati nella creazione dell’opera, la parte loro assegnata e, nelle tabelle finali, anche il costo totale e il compenso percepito da ciascun mosaicista. Sarebbe interessante appurare se il mosaicista Ermenegildo Mazzolini sia in qualche modo da collegare al pittore Giuseppe Mazzolini, attivo a Roma un paio di decenni piu` tardi. In conclusione il saggio permette di scoprire quanto impegno, quanto tempo e quanto coinvolgimento di artisti si celi “dietro le quinte” di un capolavoro.
Nel suo ben documentato saggio, Marco Pupillo ci presenta un mosaicista e un mosaico decisamente inconsueti nel panorama della produzione dell’epoca. L’autore inoltre ricostruisce in modo avvincente la carriera di Clemente Ciuli, nel passaggio dalla sua attività di mosaicista nello Studio Vaticano a quella di artista e restauratore di mosaici a Parigi. Viene anche sottolineato lo straordinario virtuosismo del Ciuli nella creazione di un’opera in un certo senso “tradizionale” o “antica”, tutta giocata sulle tenui sfumature di colore dei marmi costituenti le tessere, scelta inconsueta rispetto alla brillantezza degli smalti vitrei dei mosaici “in grande” e “in piccolo”. La riproduzione fotografica della Testa di vestale appare particolarmente preziosa, perche` reperibile precedentemente solo in una ormai introvabile pubblicazione di González-Palacios. La scelta del soggetto dell’opera di Ciuli potrebbe ricordare, sia pure con iconografia non del tutto simile, le numerose erme di vestale create da Canova negli stessi anni. Come lo studioso accuratamente precisa, il mosaico è inoltre completato da una collezione di tutti i marmi usati dall’artista e dalla loro descrizione. Questo fa pensare al nascere del collezionismo di marmi antichi e pietre semipreziose, ai tavoli realizzati da G.Raffaelli e alle collezioni di F. Corsi o di Dodwell, tra gli altri. Non sorprende, come ancora l’autore puntualizza, che a Parigi l’opera, ancora oggi nella collocazione originaria al Jardin des plantes, abbia destato l’interesse di studiosi di scienze naturali, più che dei collezionisti. Curiosamente, negli stessi anni, anche Michelangelo Barberi, secondo quanto narra Lady Morgan in France 1829, aveva un atelier a Parigi, ma non risulta che i due mosaicisti si siano incontrati.
L’ultimo scritto, opera di Laura Biancini, si potrebbe definire un diario di viaggio che ci fa rivivere un particolare momento della vita di G. Raffaelli , tutte le apprensioni, gli entusiasmi, le preoccupazioni e la finale delusione dell’artista e dei suoi collaboratori, impegnati nel trasporto del gigantesco mosaico, copia del Cenacolo di Leonardo da Milano a Vienna e qui “dimenticato” per anni, finche` nel 1847 l’imperatore Ferdinando I lo fara` sistemare nella Minoritenkirche . Gli ampi squarci di lettere dello stesso Giacomo Raffaelli, di Vincenzo Raffaelli e di altri ci permettono di seguire nei dettagli il viaggio lungo e avventuroso dell’opera che, come Lo scudo di Achille, era stata concepita in epoca napoleonica per celebrare in certo senso la grandeur della Francia e che, come l’altro capolavoro a mosaico , è andato incontro a un destino ben diverso.
ll volume, ben presentato nella veste editoriale, merita dunque l’attenzione non solo di specialisti della materia, ma anche di coloro che si appassionano a questa forma di arte decorativa e che ne apprezzano non solo la bellezza , ma anche e soprattutto la storia che ne costituisce lo sfondo.
This book should be of special interest to scholars and mosaic-collectors, for it is rather different from many other publications about decorative arts, publications which sometimes, pretending to popularize the subject, actually offer nothing more than simple descriptions of beautiful masterpieces and rich collections of attractive photographs.
The four papers, with an introduction by Chiara Stefani, are all about the artistic production of the Studio Vaticano del mosaico in Rome and the mosaic-makers operating in it between the end of the 18th century and the first decades of the 19th century.
In fact, the authors, who approach the subjects in a “philological” way and without showing pompous erudition, investigate details related to artistic and financial problems of the Studio during the French invasion and the following reinstatement of the Papal kingdom in 1814.
The essays are based on accurate research into archives and meticulous perusals of documents, which are not easily accessible even to scholars. Therefore, all of them offer to the readers the opportunity to discover some little known episodes and facts of the mosaic art and its artists, operating in the Studio Vaticano del mosaico in Rome and sometimes in connection with other European countries.
Assunta di Sante in the first paper illustrates the financial conditions of the StudioVaticano del mosaic before the French invasion, under the French governments (Repubblica Romana 1798-99 and Napoleon empire 1809-1814) and the slow and difficult recovery under the restored Papal kingdom from 1814. In particular, the scholar points out the decision of the Studio to maintain both the productions : the mosaico in grande and the new mosaico minuto, which was an important and profitable business. Among the many illustrations, the most interesting are the maps of the buildings into which the Studio has moved during these years. The appendix contains a number of important documents and can be considered as relevant as the essay itself.
The tabletop in micromosaic Lo scudo di Achille ( Achilles shield), now held in Fontainbleau, is the subject of the essay by Maria Grazia Branchetti. The round micromosaic is subdivided in various sections, the largest layer , in which are depicted 12 scenes inspired by the XVIII book of the Homer’s Iliad, reproduces the patterns created in neoclassical style by the Austrian painter J.J.Koeck. The mosaic was conceived under the French government and the name of the original possible purchaser is obscure. Nevertheless, this important work was completed years later under the papal kingdom. Eventually, in 1826 the pope Leo XII gave this masterpiece to the king of France, as a present in recognition of the help given to the pope by the French navy.The scholar investigates the practical and financial issues related to the highly demanding creation of this tabletop. Furthermore, she has been able to establish a correct list of the artists involved in that work, the single sections of the mosaic created by each of the mosaic-makers , and even the final cost of the entire work, including the payments due to the artists. Therefore, the lists attached to the paper, in fact a real discovery, should be considered of special interest. The essay is enriched by photographs of the tabletop and of four watercolours of Koeck, held in the Vatican Museum and not known until now.
Marco Pupillo adds new light and details to the biography of the mosaic-maker Clemente Ciuli, at the time, when the Roman artist moved from the Studio in Rome to Paris, in search of success and a better life. The scholar points out that Ciuli took to France a spectacular Testa di vestale( Head of a Vestal), an unusual mosaic made with tesserae of various marbles and completed by a panel containing specimens and names of all the stones used by the artist. No wonder that such a masterpiece, an exceptional example of technical virtuosity and taste for pale colours and soft nuances, captured the interest of scientist rather than the curiosity of collectors of mosaics, more fascinated by the bright colours of the glass-pastes. The mosaic is still held in its original location, the Jardin des plantes in Paris. Obviously, the illustration of the Testa di vestale is also relevant, being the only one available in an accessible publication.
Laura Biancini, quoting letters and documents, including the passport of the mosaic-maker Giacomo Raffaelli, has been able to write a fascinating “travel-journal”, in which she evocates the “adventure” of the mosaic Il cenacolo ( The Last Supper) by Giacomo Raffaelli, a life-size replica of the fresco by Leonardo in Santa Maria delle Grazie in Milan. The work was initially conceived probably for Milan or for a French location, nevertheless, after the fall of Napoleon, the Austrian government decided to move the masterpiece into Vienna. Consequently, despite the difficulties along the road, including the passage through mountains, the length of the trip and the danger of damage, eventually the mosaic reached the Austrian capital city. The numerous and extensive quotations of letters by Giacomo Raffaelli and other persons involved in the travel allow the reader to discover the concerns, the enthusiasm, the technical problems and the final disappointment of the artist, when he knew that his masterpiece was located in a sort of warehouse, where it laid neglected for many years, until 1843 ( Then it was placed in the Minoriten Kirche, where it still is).
Therefore this book, well presented and completed by illustrations and foot-notes(rich bibliography) can be considered not as a collection of learned essays for specialized scholars, but as a source of knowledge and information for collectors and readers interested in this kind of art and in its history.
Giuliana Franzini Musiani
Honorary Curator for Decorative Arts TMAG ( Tasmanian Museum and Art Gallery)
Hobart Tasmania Australia
Andamento
Ekaterina Yakovleva, Collectors and Collections. Italian Micromosaics in the State Hermitage Museum, St. Petersburg, in ANDAMENTO n. 10, 2016, pp. 12-21, British Association for Modern Mosaic
Nel suo decimo anniversario la rivista ANDAMENTO pubblicata dalla British Association for Modern Mosaic, ospita un saggio di Ekaterina Yakovleva, curatrice della collezione di micromosaici del Museo dell’Hermitage. E’ un’ occasione straordinaria per accostarsi ad una materia che si trova trattata soltanto in pubblicazioni specialistiche di non facile reperimento. La Yakovleva illustra la collezione individuandone le differenti fonti di acquisizione, evidenziandone l’evoluzione, dedicando mirati approfondimenti agli artisti più celebri dell’arte romana del micromosaico della prima metà dell’Ottocento, quali Michelangelo Barberi e Giacomo Raffaelli. Il saggio è corredato da un apparato iconografico che esalta la qualità altissima delle opere musive realizzate per la corte russa dagli artisti romani. In particolare comprende sette piani di tavolo tra i quali quattro eseguiti dal già ricordato Barberi e un ritratto fotografico dell’imperatore Alessandro II e dell’imperatrice Maria Alexandrovna datato 1860. In quest’ultimo raro e prezioso documento l’imperatrice è seduta accanto ad uno dei piani di tavolo del Barberi: il guéridon in Nero del Belgio con micromosaico centrale raffigurante la versione in formato ridotto del soggetto “Le ventiquattro ore a Roma”.
The English magazine Andamento, in the issue celebrating its 10th anniversary, published a paper by E. Yakovleva, the curator of the mosaic collection at the Hermitage Museum in Saint Petersburg.
The essay offers to readers the exceptional opportunity to easily approach a subject, which is usually found only in specializing scientific journals.The scholar, describing the collection, mentions the ways and the times of the acquisitions, points out the evolution of the mosaics style and quotes the names of the most celebrated Roman mosaic makers of the 1st half of 19th century, such as Giacomo Raffaelli and Michelangelo Barberi.The paper is enriched by a number of photographs , which allow the reader to appreciate the very high quality of the masterpieces created by the Roman artists for the Russian court.The images of seven tabletops, four of which were created by Michelangelo Barberi, and particularly the photographic portrait of the Czar Alexander II and the empress Maria Alexandrova, made in 1860, deserve a special attention. For, in the portrait the empress seats near a gueridon, the tabletop of which is a work of Michelangelo Barberi: a central mosaic Le ventiquattro ore di Roma ( the 24 Hours of Rome) in small size, surrounded by a Nero del Belgio frame.
(English version by G.Franzini Musiani)
Lo studio del mosaico vaticano
Lo Studio del mosaico vaticano è uno storico istituto che conta oggi circa tre secoli di vita.
Opera alle dipendenze della Fabbrica di San Pietro, l’ istituzione pontificia preposta alla cura del tempio vaticano. Fu istituito canonicamente nel 1727 da Benedetto XIII (1724-1730) con il fine di organizzare un corpo stabile di mosaicisti destinato ad assicurare il completamento della decorazione musiva della basilica vaticana che era stata avviata da oltre un secolo. Il programma di rivestire di mosaici il “maggior tempio della cristianità” era stato avviato nel 1578, regnante Gregorio XIII (1572-1585), con la decorazione della calotta della prima cappella a destra della crociera michelangiolesca, dedicata alla Madonna del Soccorso e detta gregoriana dal nome del pontefice.
A determinare la creazione di un corpo stabile di mosaicisti alle dipendenze della Fabbrica furono i risultati straordinari ottenuti da Pietro Paolo Cristofari (1685-1743) con la traduzione in mosaico del dipinto di Giovanni Lanfranco detto della Navicella, raffigurante la barca degli apostoli in balia delle onde e Gesù che salva San Pietro dalle acque. L’opera del Cristofari -oggi sull’altare del transetto destro della basilica di San Pietro- eguagliava perfettamente gli effetti della pittura ma con il vantaggio di mantenere inalterata nel tempo la vivezza delle tinte. Un risultato che permetteva di conferire al mosaico il titolo di pittura per l’eternità, idea già diffusa nel Rinascimento, e di gettare le basi per la sostituzione con copie in mosaico di tutti i dipinti esposti sugli altari di San Pietro, al fine di preservarli dai danni causati dall’umidità.
Lo studio nacque dunque sulla scia di questo successo e il Cristofari ne fu nominato soprastante. Il corpo di artisti a lui affidato era composto da mosaicisti esperti e da allievi. L’idea di istruire degli apprendisti non era nuova ed aveva avuto già una forma di attuazione nel 1712 quando Clemente XI (1700-1721) aveva voluto affidare al mosaicista Filippo Cocchi una stanza dove formare dei giovani, affinché l’arte del mosaico non si perdesse con la scomparsa dei grandi maestri che lavoravano per la Fabbrica. Da qui la fisionomia di laboratorio e scuola che resterà sempre un carattere identificativo dell’istituto.
Il progetto di realizzare quadri in mosaico per gli altari di S. Pietro era stato avanzato già durante il pontificato di Urbano VIII (1623 -1644), ma si era fermato ad un solo tentativo. Giuseppe Cesari, detto il cavalier d’Arpino, aveva dipinto il cartone per un S. Michele Arcangelo e il mosaicista Giovanni Battista Calandra lo aveva tradotto in mosaico (1628). Per eseguire il lavoro il Calandra aveva impiegato smalti di produzione veneta. Malgrado l’apprezzamento espresso sul momento da molti critici, l’opera si era rivelata però poco adatta ad una visione a distanza perché gli smalti con cui era stata realizzata erano eccessivamente vetrosi e di conseguenza emanavano riflessi che disturbavano la vista rendendo impossibile una visione unitaria dell’insieme. Il S. Michele Arcangelo del Calandra fu donato nel 1771 alla cattedrale di Macerata, dove giunse nel 1772.
Al fine di superare l’ostacolo nel corso del Seicento, la Fabbrica aveva favorito la nascita di fornaci per la fabbricazione di composti vetrosi.
Il quadro della Navicella raccoglieva già i risultati di questo impegno ma la vera rivoluzione si manifestò nel 1731 quando il fornaciaro ascolano Alessio Mattioli riuscì a produrre una nuova qualità di smalti, caratterizzati da opacità e suscettibili di essere prodotti in una scala cromatica molto estesa. I più noti composti a base di calcine metalliche che uscirono dalla sua fornace furono la scorzetta (colore prossimo all’arancio), il porporino, le carnagioni.
La Fabbrica stipulò immediatamente con il Mattioli una privativa per la fornitura di porporino e di smalti detti carnagioni, ossia di paste adatte alla composizione degli incarnati delle figure.
Il problema di eguagliare gli effetti della pittura era definitivamente superato.
Nella seconda metà del Settecento la munizione degli smalti dello studio contava 15.300 tonalità di tinte. Un numero destinato ad aumentare con il tempo, fino a 28.500.
Lo Studio del mosaico vaticano acquistò rapidamente una fama di livello internazionale. Nel corso del Settecento divenne riferimento per prestigiose commissioni da parte delle principali monarchie europee e si specializzò in opere da cavalletto di diverso genere iconografico e nel ritratto. I suoi lavori iniziarono a circolare in Europa anche come doni pontifici o di alti rappresentanti della curia. Una consuetudine perpetuata fino ai nostri giorni.
L’dea di una Roma “capitale del mosaico” è quella che tramanda il diplomatico Charles de Brosses, consigliere e poi presidente a vita del Parlamento di Borgogna, dopo aver visitato lo Studio alla fine degli anni Trenta del Settecento. A seguito di questa esperienza, nelle Lettres familières écrites d’Italie en 1739 et 1740, il de Brosses auspicava di poter chiamare in Francia gli artisti del mosaico romani, per far loro eseguire, in qualche galleria di Versailles, gli affreschi di Raffaello delle Stanze Vaticane, nonché i bei soffitti con le Storie di Psiche della Villa Chigi alla Lungara .
Negli stessi anni il principe elettore di Sassonia compie, senza successo, il tentativo di fondare nel suo paese una scuola di mosaico come quella di S. Pietro. Maggior fortuna ha invece la Russia, governata dall’imperatrice Elisabetta Petrovna. Nel 1752 si impiantano a San Pietroburgo, per interessamento diretto del versatile Michele Lomonosov, poeta, scienziato ed anche mosaicista, una fornace ed un laboratorio di mosaico. La vita di questo centro fu breve ma produsse significative opere. Nel 1765, con la morte del Lomonosov, l’esperienza si concluse.
Dopo l’esaltante partenza, lo Studio Vaticano, nella seconda metà del Settecento, vive un periodo di crisi a causa della mancanza di lavoro. Per sollevare gli artisti dalla miseria, il pontefice Pio VI, nel 1788, riprendendo un progetto già approvato dal suo predecessore, Clemente XIV, ordina l’esecuzione delle pale d’altare per la Basilica di Loreto.
La tecnica in cui erano specialisti i mosaicisti di san Pietro era quella del cosiddetto smalto tagliato, ossia ridotto in tessere con l’ausilio della martellina e del tagliolo. A partire dal 1795 essi iniziarono però a trattare anche il mosaico minuto soprattutto per la lavorazione di soggetti detti profani.
Durante la seconda occupazione francese di Roma (1809-1814), il laboratorio musivo vaticano passa sotto l’amministrazione della “corona imperiale di Francia”. Gli anni sono quelli compresi tra il 1811 e il 1814. E’ un breve periodo ma foriero di squilibri economici che poi il Governo pontificio si troverà a dover gestire tra molte difficoltà.
Un decisivo intervento di risanamento sarà attuato soltanto nel 1845 con la pubblicazione di un nuovo regolamento da parte di Gregorio XVI (1831-1846).
Nel corso dell’Ottocento lo Studio si distingue soprattutto nel campo del restauro e della tutela del patrimonio musivo di Roma e di altre città dello Stato. Una grande impresa in cui è attivo per buona parte del secolo è quella collegata alla ricostruzione della basilica di san Paolo f.l.m. sulla via ostiense, quasi completamente distrutta nel 1823 a seguito di un incendio. Nella basilica ostiense gli artisti della Fabbrica eseguono restauri dei mosaici paleocristiani e medievali e realizzano ex novo – regnante Pio IX- il ciclo decorativo della facciata, la pala dell’Assunta (transetto destro) dall’originale di Giulio Romano e G. Francesco Penni, la cronologia pontificia, ossia la serie dei ritratti dei pontefici a partire da S. Pietro.
La geografia delle commissioni nel Novecento non ha confini.
Sempre molto vivace e senza soluzione di continuità è stata anche la produzione di opere da cavalletto realizzate su precisa committenza o destinate alla vendita.
In una pubblicazione del 1934 con la quale la Fabbrica di San Pietro ne presentava l’attività lo Studio è detto
in grado di assumere ogni sorta di lavori; dal mosaico monumentale a quello che si può chiamare mosaico- miniatura, dalla copia dei capolavori pittorici al ritratto, alla veduta paesistica , al soggetto di genere (Reverenda Fabbrica di San Pietro, Studio Vaticano del Mosaico, con fotografie di Arturo Faccioli, stampa stab. Cesare Pezzini & C., Milano IV, 1934, p. 2).
Mosaici cristiani di Roma
indice cronologico
secoli IV-XIX
L’indice comprende gli edifici di culto dei secoli IV-XIX in cui si trovano decorazioni musive parietali di carattere monumentale ma include anche i luoghi in cui si conservano frammenti di antiche decorazioni o opere particolarmente celebri come il Triclinio lateranense. La sequenza di più secoli in riferimento ad uno stesso monumento segnala mosaici appartenenti ai periodi indicati. Nel caso di san Pietro in Vaticano si è optato per l’indicazione di un arco cronologico complessivo in considerazione della grande varietà di epoche di appartenenza a cui risalgono le testimonianze musive che la basilica contiene. Nel XIX secolo i mosaici degli edifici elencati furono generalmente sottoposti ad interventi di restauro, in molti casi estesi e di carattere ricostruttivo.
SECOLI LUOGHI
IV Santa Costanza
IV-V, VI, VII Battistero Lateranense (San Giovanni in fonte)
IV-XX San Pietro in Vaticano
inclusi i mosaici della necropoli e delle sacre grotte
IV, XVI Santa Pudenziana
V Santa Sabina
V, XIII Santa Maria Maggiore
V, XIII, XIV, XIX San Paolo fuori le mura
VI San Martino ai Monti
VI, VII Santi Cosma e Damiano
VI, VII, XV, XIX San Teodoro
VI, XIII, XIX San Lorenzo fuori le mura
VII Sant’ Agnese fuori le mura
VII San Pietro in Vincoli
VII Santo Stefano Rotondo
VIII Santa Maria in Cosmedin
VIII Santi Nereo e Achilleo
VIII-IX triclinio lateranense
IX San Marco
IX Santa Maria in Domnica (Navicella)
IX, XIII, XIX Santa Prassede
IX, XVII Santa Cecilia
XII Sant’Aniceto, cappella in palazzo altemps
XII San Bartolomeo all’ Isola
XII San Clemente
XII Santa Maria in Monticelli
XII Santa Maria Nova ( Santa Francesca Romana)
XII, XIII Santa Maria in Aracoeli
XII, XIII Santa Maria in Trastevere
XIII San Cesareo
XIII San Crisogono
XIII santa maria in monticelli
XIII santa maria sopra minerva
XIII Sancta Sanctorum
XIII San Tommaso in Formis
XIII, XIX San Giovanni in Laterano
XV Santa Croce in Gerusalemme
XVI Santa Maria del Popolo
XVI Santa Maria di Loreto
XVI Santa Maria in Scala Coeli
XVIII San Carlo al Corso
XIX San Paolo entro le mura