Note storiche

Il micromosaico come linguaggio artistico definito nelle regole tecniche e nel campo dell’invenzione  nasce  a Roma  nell’ultimo quarto del Settecento. La  città è sede dello Studio del mosaico vaticano  istituito nel 1727 e vanta un’eccellenza nell’arte del mosaico maturata con la secolare impresa della decorazione della basilica vaticana, avviata nel 1578 e non ancora conclusa.  Il contesto culturale  privilegia lo studio dell’antico sia in termini di regole compositive sia in termini di contenuti figurativi.
Mosaico minuto in smalti filati  e  mosaico in piccolo sono le espressioni con le quali il nuovo genere entra in scena. Alla sua base vi è il procedimento della filatura dello smalto che consente di “tirare”  l’impasto vetroso  (ridotto allo stato malleabile)  in fili millimetrici.
Il maestro vetraio e teorico francese Pierre Le Vieil che scrive nel 1768 (Essai sur la peinture en mosaique, Paris 1768, p. 107) parla della filatura  come di una tecnica utilizzata dai mosaicisti romani  per  ottenere piccole tessere e descrive fili di vetro colorato tirati alla fiamma in diverso spessore e poi tagliati e passati  alla ruota di piombo per formare dei cubi.
Questo procedimento è documentato  nell’ambito dello Studio del mosaico vaticano a partire dagli anni trenta del secolo.
Il  micromosaico conquista un immediato successo e diviene un prodotto distintivo dell’industria artistica romana. Lo storico Gaetano Moroni , a metà Ottocento, gli dedica un’ampia pagina riferendo notizie che sembrano, per la loro precisione, ricavate da una fonte informata direttamente dei fatti. Scrive il Moroni (cit., 1847, p. 78) che i primi lavori  musivi  in piccolo erano stati presentati a Roma nel 1775 da Giacomo Raffaelli   (1753-1836) il quale li aveva esposti
nel suo studio sito in piazza di Spagna. Ma dopo aver fatto il nome del Raffaelli lo storico aggiunge che correva pur voce che ad aprire il cammino al nuovo genere musivo fossero stati altri artisti quali  i   Valle, Volpi, Latini, Laurenti e Cesare Aguatti. Di questo gruppo è noto oggi soltanto Cesare Aguatti. Il primato assegnato al Raffaelli si può spiegare con il fatto che quando il Moroni scriveva l’artista era scomparso da relativamente poco tempo e che la sua fama era ancora tenuta vivissima dal figlio Vincenzo che ne aveva raccolto l’eredità.
Già sul finire del Settecento piazza di Spagna e le vie adiacenti, luoghi preferiti dei viaggiatori stranieri che soggiornano in città, si riempiono di studi privati in cui si realizzano e vendono mosaici minuti in smalti filati. Anche lo Studio del mosaico vaticano, tradizionalmente legato alla realizzazione di opere di soggetto sacro, dal 1795 intraprende la produzione di soggetti profani, eseguiti con la nuova tecnica, per entrare nel florido mercato cittadino. Nel 1814 Giuseppe Tambroni (1773-1824), diplomatico del regno italico durante la dominazione napoleonica, scrive che l’arte del mosaico è un ramo di commercio sul quale vivono centinaia di famiglie, specificando che una folla di uomini e di donne lavora in casa per conto dei principali commercianti.
I nomi dei più celebri artisti romani alla data degli anni Trenta sono ricordati dallo scultore e filologo Enrico de Keller che nel 1824 e poi nel 1830 in seconda edizione aggiornata, pubblica un’ operetta dal titolo Elenco di tutti gli pittori scultori architetti miniatori incisori in gemme e in rame scultori in metallo e mosaicisti.. e finalmente i negozi di antichità e di stampe esistenti in Roma l’anno 1824 compilata ad uso de’ stranieri .
L’autore ritiene che il mosaico praticato a Roma ai suoi giorni abbia raggiunto un grado di perfezione non conosciuto dagli antichi e ne individua l’origine nella gran Fabbrica de’ Musaici di San Pietro.
Rivolge poi la sua attenzione al mosaico minuto e rileva che è arrivato:
ad un punto di finezza e perfezione che non lascia più nulla a desiderare, poiché gareggia col pennello, e si vedono Paesi, Animali, e Fiori espressi talmente al vivo, che appena possiamo persuaderci, che non siano opera finissima di delicato pennello.

Passando di seguito a parlare degli artisti che lo praticano spiega che vi è chi si distingue nel paesaggio, chi nelle figure di animali rese al vivo, chi nei fiori e si duole che non possa più annoverarsi fra di loro Antonio De Angelis. Nel ricordarlo ne cita come esempio di virtuosismo la realizzazione di paesaggi tratti da Salvator Rosa e il celebre Molino di Claudio nella Galleria Doria (Claude Lorrain ,1600-1682, Paesaggio col Mulino, 1649 ca, Roma Galleria Doria Pamphili).
In una parte dell’Elenco   il De Keller raggruppa i mosaicisti e i negozianti di oggetti di belle arti sotto un’unica classe che denomina Mosaicisti e Negozi di belle Arti e di Mosaico. I nominativi sono complessivamente 45 nel 1824 e 52 nel 1830 e registrati tutti nel centro della città: tra piazza del Popolo e Piazza di Spagna.
 Il mosaico minuto in smalti filati, dalle tessere misurate in millimetri, trova con facilità la sua applicazione in opere di piccolo formato, riservate ad un uso personale, come gioielli e tabacchiere, ed in composizioni relativamente più estese da inserire in elementi di arredo. Egualmente sicuro e originale si mostra nel settore dell’arredo occupando gli spazi già riservati agli intarsi in essenze rare, agli smalti, agli avori, alla miniatura. Grande forza espressiva dimostra nella realizzazione di piani di tavolo di cui si conservano splendidi esemplari nelle più note collezioni europee  – Museo dell’Ermitage a San Pietroburgo, e  Collezione Gilbert del Vistoria and Albert Museum di Londra.
Per quanto riguarda l’iconografia, segue il gusto della cultura pittorica dominante. Nella prima fase produttiva guarda ad un’iconografia  ispirata all’antico. Le scoperte di Ercolano e Pompei, soprattutto degli apparati pittorici diffusi attraverso la pubblicazione degli otto tomi delle Antichità di Ercolano esposte, editi tra il 1757 e il 1792, offrono modelli per la rappresentazione di un repertorio vario e fantastico. Un tema di grande successo è quello delle cosiddette Colombe di Plinio, o, anche, Colombe sul bordo di una tazza , o Colombe Capitoline. Il soggetto è ripreso dal mosaico di età romana rinvenuto presso la villa Adriana di Tivoli, nel 1737, conservato oggi presso i romani Musei Capitolini.
Già dai primi anni dell’Ottocento alle tematiche classico-mitologiche il micromosaico affianca un’ iconografia che segue da un lato il filone della veduta di rovine e di monumenti romani e, dall’altro, una serie di tematiche legate al mondo animale e floreale, a scenette di vita popolare, al paesaggio. Per i modelli  attinge ai grandi maestri della pittura italiana ed europea dal Rinascimento in avanti ma anche ad opere di artisti contemporanei. A quest’ultimo riguardo si deve citare la grande influenza esercitata da Venceslao Peter (1745-1829), pittore boemo trapiantato a Roma, con i suoi dipinti raffiguranti combattimenti di animali.
Il già citato Moroni menziona come caratteristici della produzione ottocentesca anche soggetti tratti dalla Divina Commedia di Dante, dalla Gerusalemme Liberata del Tasso, dai Promessi Sposi del Manzoni nonché soggetti scherzevoli come la biondina in gondoletta, la tarantella, il dolce far niente.
I temi su cui il micromosaico insiste con coerenza sono comunque quelli che raffigurano Roma con la sua campagna e, in particolare, il paesaggio tiburtino. La città imperiale e la città cristiana offrono panorami suggestivi . La mole del Colosseo e il grande invaso della piazza S. Pietro con la basilica che si staglia contro il cielo sono tradotti in dimensioni tanto piccole  da entrare nel castone di un anello o si estendono nella misura adatta ad occupare il centro di un piano di tavolo.
Gli estimatori del micromosaico appartengono ad un pubblico vasto, ma la componente che ne garantirà la maggiore diffusione è quella del mondo del Gran Tour sempre più differenziato con l’avanzare del tempo. Le creazioni a piccole tessere si guadagnano molto in fretta il titolo di souvenir prezioso della città eterna e dei suoi capolavori.

Gli stili compositivi

Nei primi decenni di vita il mosaico minuto utilizza tessere quadrangolari disposte in corsi paralleli e si esprime attraverso una cromìa regolata dal contrasto fondo-figure. Il primo è sempre di colore unito, in prevalenza blu ma anche bianco, le seconde sono a più colori. Con il passaggio all’Ottocento si assiste all’introduzione di tessere dal perimetro variabile che si giustappongono secondo percorsi curvilinei e rettilinei, con uno scambio continuo dagli uni agli altri. La scala cromatica è molto più ampia e pittoricamente accordata. Gli effetti di sfumato e di trapasso chiaroscurale sono facilitati dall’introduzione di smalti contenenti nello stesso filo più variazioni di tono, detti malmischiati. Ad Antonio Aguatti  è attribuito il merito di aver introdotto tessere di vario formato e di aver, per primo, sottoposto al procedimento di filatura smalti di colori diversi. Altri progressi in direzione di un arricchimento delle potenzialità espressive della materia base, sono raggiunti, intorno agli anni Trenta dell’Ottocento, da Giuseppe Mattia, un allievo di Michelangelo Barberi che, sotto la direzione del maestro, perfeziona il malmischiato, impastando lo smalto con l’uso della lampada da orefice. I colori prodotti con il nuovo metodo risultano più brillanti di quelli filati alla fornace e sono distinti con la denominazione di tinte di soffio.[1]
Anche per l’Ottocento le opere più originali sono create a Roma sia dallo Studio del mosaico vaticano che dai laboratori privati. Nel primo decennio del secolo, in seguito alla seconda occupazione napoleonica, lo Studio vaticano viene posto sotto le dipendenze della Corona Imperiale di Francia ( con decreto del 15 febbraio 1811) e vi resterà fino al 1814. Durante questo periodo si istituì un laboratorio solo per il mosaico in piccolo. Un lavoro molto interessante, sia dal punto di vista iconografico che da quello della qualità dell’esecuzione, iniziato negli anni dell’occupazione e completato dopo la Restaurazione con il ritorno di Pio VII, è il piano di tavolo circolare detto Lo scudo di Achille. Il cartone per la composizione musiva fu approntato da Michele Koëck e la traduzione musiva fu realizzata, nell’arco di sei anni, da più mosaicisti. Nel 1826 Lo scudo di Achille, montato su quattro aquile con zampe di bronzo dorato, fu donato da Leone XII al re di Francia Carlo X. Oggi è conservato nella reggia di Versailles.[5]
Con l’avanzare dell’Ottocento il mosaico minuto continua a ripetere i temi che lo avevano reso famoso, ma con un passo più veloce, tracciato da tessere di dimensioni più larghe e di formato molto variato.
Lo stile dell’Ottocento maturo è piuttosto eclettico ma in generale si connota per l’impiego di tessere di formato allungato e per la scelta di una scala cromatica più accesa e stridente. Gli effetti di toni discordanti possono anche derivare dalla natura eccessivamente vetrosa degli smalti impiegati. Il repertorio iconografico introduce il quadro di genere che ricostruisce scenette di vita quotidiana ambientate in epoche storiche del passato.
 A questa fase appartengono anche quadri di grandi dimensioni con composizioni floreali o copie di dipinti celebri in cui spesso la tecnica del filato si unisce a quella del tagliato.
Le composizioni a piccole tessere sono  applicate anche su oggetti realizzati con procedimenti meccanici, tra cui si distinguono cofanetti e croci devozionali.
Un discorso a parte merita il micromosaico che i Castellani impiegano  nella loro oreficeria archeologica proposta a pubblico a partire dalla fine degli anni cinquanta dell’Ottocento. Le composizioni musive che essi adattano ai gioielli sono realizzate con tessere piccolissime e rigorosamente quadrate che disegnano trame perfette includenti fettucce d’oro e d’argento. Queste ultime  circoscrivono parti dei soggetti figurati come nei lavori a smalto cloisonné.
Per quanto riguarda il repertorio figurativo i Castellani introducono nuovi soggetti, in genere di carattere simbolico, caratterizzati da iscrizioni d’ispirazione religiosa e bene augurale e da motivi derivati dall’arte classica, paleocristiana e bizantina.
Con l’affermarsi del gusto moderno a seguito della rottura portata nella cultura  europea dai grandi movimenti artistici comparsi tra fine Ottocento e primo Novecento e con la comparsa di competitivi prodotti industriali, il micromosaico, almeno  nelle forme che lo avevano portato alla celebrità, conosce un forte regresso.

I maestri

Impossibile elencarli tutti e difficile distinguerli dato il prevalente anonimato delle opere. Tra i più noti della prima generazione si ricordano oltre a quelli menzionati dal Moroni, Pompeo Savini, Antonio Aguatti, Francesco Belloni, Nicola De Vecchis, Clemente Ciuli, Antonio Mora, Antonio De Angelis. L’elenco di coloro che operarono con grande successo nella prima metà dell’Ottocento è piuttosto ricco. Fra tanti personaggi celebri si citano Filippo Puglieschi, Gioacchino Barberi, Settimia Maffei Marini, Michelangelo Barberi, Benedetto Boschetti, Domenico e Luigi Moglia, Francesco Depoletti, Andrea Volpini, Gioacchino Rinaldi. Una nota particolare spetta a Michelangelo Barberi (1787-1867) per l’impegno che profuse nell’invenzione di soggetti originali, portando la tecnica del mosaico ad esprimere emozioni, ricordi, eventi variamente connessi alla sua vita di uomo e di artista.
Lo studioso francese Edouard Gerspach (1833-1904), direttore della Manifattura dei Gobelins, nel 1899 scriveva (, La mosaïque,Paris,s.d. ma 1899, p.223s.)  che ai suoi giorni l’arte del mosaico era poco incoraggiata precisando che gli stabilimenti ufficiali in cui si praticava erano soltanto tre: quelli di Parigi, di San Pietroburgo e del Vaticano. Riguardo a Roma registrava però anche una vitalità di mercato nel settore dei gioielli e degli oggetti di fantasia, ma senza accennare alla qualità dell’offerta.

Il declino, proprio in quegli anni, dell’ oreficeria archeologica Castellani i cui micromosaici, come si è detto, avevano portato nuova linfa nel settore, dimostra che un’epoca è ormai passata.
Se veramente vi fu, l ’ultimo sussulto ottocentesco del mercato musivo degli oggetti di fantasia, per usare la felice espressione del Gerspach, si può collegare alla celebrazione dell’Anno Santo del 1900, un evento di grande risonanza perché apriva il nuovo secolo e perché era il primo che la Chiesa celebrava dopo settantacinque anni, essendo stati impediti quelli del 1850 e del 1875 (quest’ultimo almeno nella forma consueta) dalle vicende politiche connesse con il Risorgimento italiano.
Proprio agli inizi del Novecento il micromosaico guadagna ancora un successo, forse l’ultimo registrato, con i lavori dello Studio del mosaico vaticano  presentati all’ Esposizione internazionale di St. Louis del 1904. Tra le opere inviate vi era il quadro di grandi dimensioni (cm. 77,5 x 94,5) raffigurante Fiori con Uccello Picchio tratto da un dipinto di Andrea Cherubini (1833-1900) (bibl. M.G. Branchetti in Sinai and Sons, 2009-2010).